Sappiamo tutti che una delle cause principali della situazione in cui ci troviamo è la moneta, per essere più precisi, è la scarsità di moneta, e con essa la scarsità di una serie di beni materiali e immateriali sia sul piano individuale che statale.
Una deli beni più importanti della nostra vita è il tempo, quella cosa che abbiamo non pochi problemi se la dobbiamo definire, ma che misuriamo e che conosciamo perfettamente quando non abbiamo tempo per fare una delle tante cose che vorremmo fare. Nel Medioevo si diceva che Dio dava il tempo gratis, e così, siccome c’era tempo, ogni oggetto della vita quotidiana era abbellito con ricami, incisioni o pitture; poi vennero Lutero, Calvino e Zwingli e il tempo divenne un bene economico, un bene che si poteva comprare o vendere con il nuovo dio: il denaro.
Se cinquant’anni fa non c’era tempo per fare quasi nulla oggi è peggio, siamo sempre in ritardo e le nuove tecnologie ci pressano continuamente per essere aggiornati, rispondere a messaggi, chat e al telefono. E se non si cambia qualcosa non pare che il futuro sarà migliore.
COSA POSSIAMO FARE PER CAMBIARE QUESTA TENDENZA SUICIDA E TRISTE?
Facciamo come Martin Luther King, esprimiamo i nostri sogni!
Ci sono persone che sognano, si svegliano e continuano la giornata come se nulla fosse accaduto.
Ci sono persone che sognano, si svegliano e cercano di realizzare i sogni. Dobbiamo essere come questi secondi, se non altro perché sono più felici. Di certo finché i sogni restano dentro la nostra testa non succede nulla e quindi esprimiamoli, se non altro come sfogo ed elaborazione intellettuale. Chissà che non si realizzino.
Sogno N° 1 Riduzione dell’orario di lavoro
In Italia esiste, ed è mantenuta da tutti i governi e dalla UE, una disoccupazione del 10% circa. Questa disoccupazione serve per garantire una situazione di “endemica mancanza di lavoro” che ha come prima conseguenza la riduzione degli stipendi (perché pagare di più quando ci sono migliaia di persone che aspettano di prendere quel posto di lavoro, caso mai per meno perché arrivate dall’Africa o dall’Asia?!).
Prima conseguenza è la diminuzione della moneta nelle tasche dei lavoratori cui segue la contrazione dei consumi, la riduzione delle vendite, la diminuzione dell’occupazione. Questa situazione porta all’assurdo di alcune persone che lavorano e che hanno tempo SOLO per lavorare mentre altre hanno tempo, tanto tempo, troppo, ma non fanno altro che disperarsi perché sono disoccupate.
Nonostante ce lo chieda l’Europa da trent’anni, l’Italia e la Grecia sono le uniche due nazioni dove non esiste un vero Reddito di Cittadinanza che protegga i disoccupati e i sottoccupati; pare che per la mentalità italiana non si riesca a superare questo limite culturale. Proviamo a risolvere il problema in altro modo.
Cosa succede se per legge riduciamo l’orario di lavoro a 30 ore settimanali?
Non mi sono sbagliato, ho proprio scritto 30 ore.
La disoccupazione sparisce e la produzione non cambia. Pare un assurdo ma è proprio così perché, esperimenti alla mano, in sei ore di lavoro si produce come lavorandone otto perché diminuisce la distrazione, aumenta la concentrazione, e quindi la produttività; diminuiscono gli errori, e quindi gli scarti e aumenta la qualità. Dal punto di vista produttivistico non ci sono controindicazioni, i limiti sono solamente mentali.
Quando ci scrolleremo di dosso l’assunto cattolico/protestante/capitalistico “chi non lavora non mangia”?
Non esiste nessuna condanna divina per chi lavora poco o niente!
In un mondo che ha quasi escluso ogni forma religiosa, questa condanna calvinista permane e non ci permette di Vedere un Mondo Nuovo, e se non vediamo un mondo nuovo non riusciremo mai a costruirlo.
Quando arrivarono i quaccheri in Nord America i nativi pellerossa erano agricoltori, cacciatori e raccoglitori, lavoravano tre ore al giorno, e non mi pare se la spassassero male. Stesse ore sono impiegate per il lavoro necessario a vivere da varie tribù dell’Amazzonia e dell’Orinoco.
Anche il popolo delle canoe, gli Yagan, o Yamana, della Terra del Fuoco avevano gli stessi tempi lavorativi come pure i polinesiani. Noi, che pensiamo di essere “la razza superiore”, di essere “civilizzati” e “tecnologici” lavoriamo molto di più dei “primitivi”. Non mi pare lo si possa definire una forma di progresso, un miglioramento della qualità della vita. In ultima analisi aveva ragione il negrone della canzone Bingo Bango Bongo di 70 anni fa che preferiva restare “incivile” e vivere meglio.
Lavorando 6 ore al giorno si ha la totale occupazione e non cala la produzione nazionale.
Durante il fascismo, ovvero fino a 80 anni fa, si lavorava cinque giorni alla settimana, non sei come ormai fanno quasi tutti. All’epoca la domenica era il giorno del signore, e per decisione biblica ci si doveva riposare, il sabato invece era “fascista” e lo si dedicava al partito, allo sport, alle arti, alla cultura personale…
Possibile che nel 2020 con le intelligenze artificiali, i robot, l’informatica ecc.. dobbiamo lavorare di più di un secolo fa? Capisco perché abbiamo in tasca uno smartfone, ovvero un telefono intelligente, perché noi siamo Stupid one.
Da uno studio UE del 2018 si prevede che nel 2030 in UE ci saranno 50 milioni di posti lavorativi in meno perché i robot e le intelligenze artificiali potenzieranno quanto già iniziato con i computer: la diminuzione del lavoro. Clamorosamente però la diminuzione di manodopera porterà alla diminuzione della richiesta di prodotti perché mentre il lavoratore produce e poi si trasforma in consumatore, un robot produce tanto, senza sosta, ma non compra nulla.
Lavorare meno per lavorare tutti è quindi una necessità non solo sociale ma anche capitalistica.
L’avvento delle nuove tecnologie obbliga a considerare come essenziali anche una serie di lavori NON produttivi. Esistono dei lavori, delle attività, che non sono economicamente validi, che apparentemente costano più di quello che producono. Già oggi, e ancor più nel futuro, serviranno lavori economicamente improduttivi che dovranno essere pagati dalla comunità. Ecco un esempio tra i tanti.
In montagna gli alberi in autunno perdono le foglie che coprono i prati, poi iniziano le piogge autunnali, le gocce d’acqua scivolano sulle foglie senza inzuppare il terreno sottostante e l’acqua scende nei ruscelli, nei torrenti, nei fiumi e tra la fine d’ottobre e i primi di novembre i fiumi vanno in piena. Succede tutti gli anni, ed ogni anno è peggiore perché sempre meno contadini e montanari si occupano della pulizia del sottobosco, non raccolgono foglie e rami per usarle come concime o come lettiera per gli animali e legna da ardere. Raccogliere foglie è un lavoro economicamente negativo ma socialmente utile: crea lavoro, produce concimi biologici, si importa meno chimica per i campi, riduce il dissesto idrogeologico, diminuiscono i danni delle piene, calano i morti per inondazioni. Lo stato con poca spesa otterrebbe una grande resa, ma mancano i soldi per l’investimento iniziale che nessuna amministrazione pubblica può permettersi, salvo poi essere costretta dall’emergenza a spendere di più.
Una riduzione a trenta ore settimanali dell’orario di lavora permette a chi ha figli o nipoti di seguirli, di non doverli portare in strutture alienanti e diseducative per mancanza di tempo. I genitori possono/devono seguire ed educare i figli, come pure, se non di più i nonni. La formazione ed educazione familiare è migliore di quella asettica e anafettiva erogata da un dipendente statale.
Con 30 ore lavorative a settimana l’educazione, che ora per legge si arresta tra i 14 e i 26 anni, potrebbe essere continua. Ognuno potrebbe studiare, o insegnare, un paio di ore al giorno, aumentando la qualità dell’istruzione, della popolazione e del mondo in cui viviamo, con un notevole valore aggiunto e guadagno anche economico per il mondo produttivo.
Una popolazione più colta, più istruita, è anche più interessata e ha più strumenti per comprendere la gestione economica e politica della macchina pubblica… che sia per questo motivo che in tutto il mondo occidentale il livello dell’istruzione pubblica è ogni anno peggiore? Vuoi vedere che i nostri governanti hanno capito che si fa meno fatica a governare degli ignoranti che degli istruiti e si comportano di conseguenza?
Sogno N° 2 La Sanità
Il maggiore settore di spesa dello stato è la sanità, questa struttura che ci accompagna da prima che nasciamo alla morte, arrivando ad impedirci, di fatto, di nascere e morire in casa come si è fatto per millenni, come se il parto fosse una malattia contagiosa.
La sanità, impostata come ora, è solamente un enorme affare per le grandi industrie farmaceutiche che decretano i protocolli ai quali ogni medico deve attenersi, pena la non copertura assicurativa. Ovviamente i protocolli sono costruiti in modo da far consumare più prodotti possibile e, se possibile, non far morire il malato ma lasciarlo sempre un poco malaticcio in modo che abbia malesseri e ricadute e non guarisca mai totalmente: un cliente ideale.
A questa catena che parte da BigFarma e scende fino agli operatori sanitari non sfugge nessuno. Gli operatori sanitari e i medici consapevoli sono pochi, mentre sono tanti quelli che si affidano alle parole del barone e della rivista “scientifica”, pedine che per sopravvivere hanno scordato il giuramento di Ippocrate, il padre greco della medicina, che si preoccupava primo di non fare danni e poi di curare il malato, non la malattia.
Finché la Sanità è strutturata in questo modo non c’è via d’uscita: si starà sempre peggio, ci saranno sempre più malati e sempre più poveri.
Inutile parlare di cure alternative, di un approccio differente, ogni via differente a quelle tracciate da BigFarma è interrotta dalla mancanza di fondi. La ricerca viene svolta solo da chi ha soldi, quindi non dallo stato ma dai “soliti noti” che lavorano per BigFarma. La sperimentazione, che un tempo ogni medico svolgeva per conto proprio cercando di identificare cause e rimedi ai malesseri dei propri ammalati, è sparita, impossibile e, spesso, illegale.
Nell’organizzazione del lavoro c’è una legge universale: finché si paga chi lavora male non ci saranno miglioramenti, per la Sanità vale la stessa legge.
I medici vanno pagati quando si sta bene e devono pagare loro quando un paziente è ammalato.
Finché si pagano i medici e le industrie farmaceutiche quando si è ammalati nessuno avrà interesse a guarire gli ammalati ma solo a mantenerli sempre più ammalati.
Questa nuova visione della Sanità, che nuova non è visto che era usata nell’antica Cina, permette e induce ogni medico a usare la propria testa per analizzare, studiare e inventare una vera Medicina Preventiva, una medicina con un approccio differente che riduca le malattie e il malessere fisico e psichico delle persone.
Sogno N° 3 Le tasse
Si dice che non si sfugge a due cose: la morte e le tasse. Forse è vero ma vediamo meglio a cosa servono e cosa si intende per tasse.
Opinione diffusa è che le tasse servano per far funzionare lo stato. Secondo questa vulgata senza i soldi che riceve dai cittadini lo stato non può funzionare perché, semplicemente, non ha i soldi per la macchina statale, dall’istruzione ai pompieri, dalla manutenzione delle strade alle pensioni. In questo pensiero è insito un grosso errore di fondo: lo stato, come ogni stato sovrano, può creare moneta e poi distribuirla ai cittadini: quindi lo stato può esistere anche senza tasse e balzelli vari, dalle marche da bollo alle accise sui carburanti.
Nella tassazione ci sono le Imposte Dirette, che si pagano in seguito ad una dichiarazione dei redditi e che variano al variare del reddito, e ci sono le Imposte Indirette, che si pagano quasi senza accorgersene e che sono uguali per tutti.
L’Iva è un’imposta indiretta che è presente in tutti i prodotti commerciali e servizi e col suo 24% rende allo stato un quarto del valore di ogni oggetto o prestazione. L’Iva deriva dall’IGE, Imposta Generale sulle Entrate e alla sua nascita l’Iva aveva aliquote simili all’imposta precedente che variavano dal 0,50 al 4 per cento. Il Boom economico si è avuto con un’imposizione fiscale indiretta a questi livelli, coi livelli attuali sarebbe impossibile.
A prescindere da ciò ogni Imposta Indiretta è comunque anticostituzionale perché, come da Art. 53 della Costituzione, il sistema tributario è informato a criteri di progressività, cosa che non avviene con imposte uguali per tutti, come sono appunto le imposte indirette. Una tassa del 24% su un bene alimentare, al ricco non cambia nulla mentre al povero determina se vivere o morire di fame, e non è una differenza da poco.
Una imposizione corretta è l’Irpef che è in effetti progressiva ma che col tempo si sta sempre più spianando verso il basso e c’è chi tende alla sua eliminazione e sostituzione con una flat tax, una tassa uguale per tutti; un obbrobrio economico e politico. Senza ritirare in ballo l’Art. 53 faccio notare che nella Svezia degli anni ’50 le imposte dirette sui redditi più elevati erano del 80% mentre nel 1930, quando Franklin Delano Roosvelt varò il New Deal negli Usa portò la tassazione sui redditi per le categorie più abbienti al 91%, e non era di certo spinto da ideali comunisti.
Una tassazione più equa porterebbe ad una diminuzione e all’eliminazione di tutte le imposte indirette permettendo alle classi più povere di vivere a scapito dei più ricchi che sarebbero solo un po’ meno ricchi.
Sogno N°4: Quanto ricco
In attesa che si decida se l’universo è finito o infinito prendiamo atto che, al momento attuale, oltre alla stupidità umana anche la ricchezza personale è un parametro infinito perché non esiste limite alla ricchezza.
Uno degli italiani che fecero grandi gli Usa, ma sconosciuto in Italia, fu Amedeo Peter Giannini, un figlio di emigrati italiani che nel 1904 fondò a San Francisco la Bank of Italy finanziando, senza garanzie, la ricostruzione delle attività degli emigrati distrutte dal terremoto/incendio che avevano raso al suolo la città. Poi finanziò le piccole imprese artigiane, il prestito personale ai poveri, le vendite a rate delle auto e i film di Chaplin. Diventata Bank of America la sua banca gestì il Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa post bellica, finanziò i cartoni animati di Disney, la nascita dei computer della Hewlett Packard e costruì il Golden Gate, il ponte che attraversa la baia di San Francisco. Una volta ricevette un premio da un milione di dollari e lo diede tutto in beneficenza. Quando nel 1949 morì, nonostante avesse lavorato tutta la vita e realizzato imprese economicamente enormi, il suo capitale ammontava a 480.000 $. Durante tutta la sua vita sostenne sempre che chi avesse un capitale superiore a mezzo milione di dollari andrebbe dovuto essere ricoverato in un istituto psichiatrico, e io concordo con lui.
L’annosa domanda se si lavora per vivere o si vive per lavorare aveva per Giannini uno spartiacque: mezzo milione di dollari. Sotto si poteva ancora lavorare ed essere pagato per il proprio lavoro ma, una volta raggiunto quella soglia, o si smetteva di lavorare o si lavorava ma senza essere pagati.
Chi passa la vita a lavorare non ha tempo per le cose importanti della vita, diventa un dipendente del lavoro come un eroinomane diventa dipendente dell’eroina. Come lo stato si fa carico della salute psicofisica delle persone dipendenti da sostanze tossiche, così deve fare anche per i dipendenti dall’eccesso di lavoro e di reddito, ed uno dei sistemi più semplici è la tassazione del 100% dei redditi oltre il mezzo milione di capitale.
Sogno N°5: L’eredità
L’eredità è una delle basi economiche della nostra società. Per l’eredità si sono ammazzati a milioni, ci sono state guerre per ereditare regni, avvelenate famiglie, faide familiari secolari, parentele distrutte… difficile che ognuno non abbia una esperienza negativa diretta o indiretta al riguardo.
L’eredità è una delle condanne peggiori che possano capitare. Certo, chi non ha nulla e riceve di che vivere agiatamente è ben felice, ma solitamente quella gioia dura ben poco perché, come avviene per chi vince le lotterie e i grandi premi di fortuna, non sa come gestire la ricchezza e solitamente in pochi anni la perde.
Non è un segreto per nessuno, tanto meno per i capitani d’industria, che uno dei problemi cui si è trovata di fronte Confindustria è la crisi di transizione generazionale: in Italia, e nel resto del mondo non è molto differente, il 60% delle aziende o chiude o viene svenduta entro i primi tre anni del passaggio generazionale. Questa crisi non accade solo con le aziende. Gli agenti immobiliari sanno che quando un immobile è messo in vendita dagli eredi si vende ad un prezzo minore perché gli eredi, non avendo faticato per avere l’immobile, se ne vogliono solo liberare e realizzare quanto possibile in poco tempo. Questa legge degli immobili vale per tutto quanto viene ricevuto in eredità e così chi ha faticato anni per lasciare qualcosa ai posteri si trova ad essere il primo ad essere frustrato dal proprio comportamento, ma da morto non può fare gran ch’è.
Solitamente chi lascia un’eredità non lo fa per il bene degli eredi ma per lasciare un segno di se, una testimonianza del proprio passaggio su questa terra, un ricordo che magnifichi la propria vita.
Chi riceve invece si sente frustrato dal riceve qualcosa che gli sbatte in faccia la capacità di chi è morto e, insoddisfatto, penserà di liberarsi il prima possibile dalla prova del confronto.
Ma vale la pena di lasciare un’eredità? Non sarebbe più semplice, logico, umano, che ognuno avesse la possibilità di formarsi una propria vita indipendentemente da quella dei propri genitori e antenati? Non sarebbe più facile realizzarsi senza i pesi e i condizionamenti dell’economia familiare? Non sarebbe salvifica e rasserenante una tassa di successione che spazzi tutto e lasci agli eredi solo qualche bene di valore affettivo e di scarso o nullo valore economico?
Sogno N° 6 Il risparmio
Art. 47 della Costituzione Italiana: La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme. Negli anni ’60 le Casse di Risparmio incoraggiavano il risparmio fin dalle scuole elementari con libri e salvadanai poi a metà dicembre 1969 in un’Italia sgomenta e attonita per le bombe di Piazza Fontana giunse una direttiva della Commissione Europea (non c’era ancora la UE e tanto meno la CE ma c’era già la Commissione) per far diventare le banche commerciali, all’epoca quelle da investimento erano ancora separate, delle società che non dovevano più svolgere un ruolo sociale ma dovevano fare utile.
All’epoca in Italia la propensione marginale al risparmio era del 25 %, ovvero mediamente un quarto degli stipendi finiva nei libretti bancari che erano garantiti, grazie alla Banca d’Italia controllata dallo Stato. Dal ’92 col nuovo regolamento bancario e la cessione di parti di BdI ai privati il controllo e la tutela del risparmio è sempre più calata finché nel gennaio 2004 la rivista Famiglia Cristiana non evidenziò che BdI non era più nelle mani dello stato ma di un gruppo di privati di cui non si conosceva neppure il nome. A settembre, dopo un braccio di ferro durato mesi, il parlamento italiano venne a sapere i nomi dei controllori di BdI che erano gli stessi che BdI doveva controllare e che erano ormai tutti stranieri.
Appurato che il risparmio italiano e i crediti alle imprese erano quasi tutti in mani straniere vennero alcune leggi, tutte in toto o in parte disattese, ed oggi ci troviamo con una sola sicurezza: lo stato non incoraggia e tanto meno tutela il risparmio, che nel frattempo è sceso al 2% dei redditi.
Non sarebbe ora di provvedere ad una regolarizzazione della questione? Abbiamo due possibilità: riprendere il controllo di BdI, cacciando i privati e stranieri, e affidarle un vero controllo del sistema bancario, compresa la vecchia separazione bancaria, oppure avere una banca di Stato garantita dallo Stato. Siamo ad un bivio, cosa aspettiamo? Abbiamo l’imbarazzo della scelta?
Mi fermo qui
Ma sono sicuro che ci saranno tanti altri bellissimi sogni e commenti migliorativi ai miei.
© Galileo Ferraresi